Coldiretti: investiamo sul lavoro come strumento fondamentale nell’emancipazione femminile
I due volti dell’8 marzo: forse nessuna più di questa ricorrenza divide l’opinione pubblica tra chi coglie l’occasione per celebrare le donne nel mondo e chi invece vi associa un messaggio di fondo stonato con la realtà che ci circonda. La verità è che, forse, questa giornata ha il potere di farci riflettere. Pensare a dove siamo e soprattutto a dove vorremmo essere. La Liguria, nella giornata di oggi, ha qualcosa da dire: sia sul piano di produzione floricola che su quello occupazionale femminile.
Partendo dal primo dato, ricordiamo che il 90% della produzione italiana di mimosa proviene dalla nostra regione. Il fiore simbolo di questa giornata costella dunque le province liguri, con una concentrazione nella zona dell’imperiese, dove si trovano circa 1500 aziende che la coltivano in modo ecocompatibile sui tipici terrazzamenti. Regalare la mimosa, oggi, è importante, anche e soprattutto perché dietro quel ramoscello potrebbe esserci il lavoro di un’imprenditrice agricola. Possiamo darlo per scontato o non farci caso, ma è fattuale che le donne, nell’ambito dell’agricoltura, hanno da sempre dovuto faticare doppiamente per dimostrare di poter svolgere lo stesso lavoro dei colleghi uomini.
Oggi i dati, seppur ancora non sufficienti, sono in crescita e parlano chiaro. La Liguria si piazza tra le migliori regioni per l’occupazione femminile in agricoltura. In Italia un’azienda agricola su quattro (26%) è guidata da donne, ma la percentuale ligure è più alta della media (31%). Gli occupati nel settore in Liguria sono un totale di oltre 14mila persone, di cui 4.400 donne circa. Un dato che mostra la luce in fondo al tunnel, più che per i numeri, per la direzione della curva. Stiamo finalmente assistendo all’apertura di un settore storicamente considerato prerogativa del duro lavoro nei campi e dunque maggiormente svolto da uomini.
L’altro volto dell’8 marzo è invece quello che nessun fiore può nascondere: se è di numeri che parliamo, vanno espressi tutti. Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Nel 2024, sono già 560 le donne che si sono messe in contatto con il Centro Antiviolenza Mascherona di Genova. Di queste, l’8% sono giovanissime, ossia tra i 16 e i 20 anni. La violenza si esprime in varie forme, dalla fisica alla psicologica, da quella sociale a quella economica. Il fenomeno è sempre molto diffuso, ma tra tutti i numeri quello della violenza economica raggiunge i picchi più elevati: secondo uno studio della società di ricerche di mercato e consulenza Ipsos, il 49% delle donne dichiara di essere stata vittima di violenza economica almeno una volta nella vita. Tale sopruso si esplicita in comportamenti volti a impedire l’indipendenza economica e finanziaria delle donne, impedendo a queste ultime di emanciparsi attraverso il lavoro. È questa una forma di violenza subdola, capace di generare, in molti casi, vittime inconsapevoli.
Uno dei motivi principali di questa situazione, ancora tristemente attualissima, è il minor accesso rispetto agli uomini al mercato del lavoro. Ecco perché, in un settore come quello dell’agricoltura dove la parità di genere ancora fatica a realizzarsi, è di fondamentale importanza investire sull’imprenditoria femminile attraverso incentivi, fondi perduti, opportunità di finanziamento e agevolazioni.
“La dipendenza economica è uno dei maggiori ostacoli alla fuoriuscita dalla violenza,” spiegano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale. “La violenza economica è spesso legata ad altre forme di violenza, e in molti casi ne è parte integrante: insidiosa e radicata, rende chi la subisce incapace di riappropriarsi della propria libertà. Come Coldiretti, ci impegniamo affinché il mondo del lavoro del primo settore riconosca l’importanza di un impegno sempre maggiore nel realizzare le politiche di genere nel settore agricolo. I dati lo confermano: le capacità imprenditoriali delle agricoltrici sono tali e quali a quelle degli agricoltori. Prima lo capiamo e meglio è, per tutti e soprattutto per tutte.”
La strada da fare è ancora tanta, e allora la domanda diventa: lo compro o non lo compro, oggi, un rametto di mimosa?