21 Giugno 2019
BIRRA ARTIGIANALE E BIRRA AGRICOLA IN LIGURIA

Nel 2018 il consumo di birra ha superato per la prima volta nella penisola i 20 milioni di ettolitri conquistando oltre la metà degli italiani. A rivoluzionare il settore è una domanda che è diventata negli anni sempre più raffinata e consapevole con una sempre maggiore attenzione per l’origine delle materie prime e la ricerca di varietà particolari con numerosi esempi di innovazione, dalla birra aromatizzata alla canapa a quella pugliese al carciofo di colore giallo paglierino ma c’è anche quella alle visciole, al radicchio rosso tardivo Igp o al riso.

Si tratta di realtà molto spesso realizzate da giovani che sono i più attivi nel settore con profonde innovazioni che vanno dalla certificazione dell’origine a chilometri zero al legame diretto con le aziende agricole ma anche la produzione di specialità altamente distintive o forme distributive innovative come i “brewpub” o i mercati degli agricoltori di Campagna Amica.
Contro la proliferazione di finte birre artigianali e l’omologazione dei grandi marchi mondiali su iniziativa di Coldiretti è stato costituito il consorzio a tutela della birra artigianale “Made in Italy” che garantisce l’origine delle materie prime, dal luppolo all’orzo e la lavorazione artigianale.

Lo scopo del Consorzio è la valorizzazione della filiera produttiva locale, creando un rapporto più solido tra la bevanda artigianale e le materie prime, tra i piccoli produttori di birra ed i coltivatori di orzo, luppolo e altre materie prime complementari.
Tra i fondatori del consorzio, oltre a Teo Musso del birrificio agricolo Baladin, Marco Farchioni del birrificio Mastri Birrai Umbri, Vito Pagnotta del birrificio agricolo Serro Croce e Giovanni Toffoli della Malteria Agroalimentare Sud vi è il savonese GIORGIO MASIO DEL BIRRIFICIO DELL’ALTAVIA DI SASSELLO.

Il disciplinare del Consorzio per la tutela e la promozione della birra artigianale italiana si basa sulla definizione di “Birra Artigianale” stabilita per legge (art. 2 comma 4 bis della legge n. 1354 del 16.8.1962, come modificata dall’art. 35, comma 1, L. 28 luglio 2016, n. 154) che indica in tre fattori cardine i criteri da rispettare da parte del birrificio:
• indipendenza del birrificio,
• limite di produzione stabilita in un massimo di 200.000 ettolitri all’anno
• integrità del prodotto che non deve essere sottoposto a  processi di pastorizzazione o di microfiltrazione.

Caposaldo per la produzione della birra agricola è invece il D.M. 212/2010 che riconosce la birra come, per ‘‘appunto, “Birra agricola”
Inoltre anche il birrificio agricolo risulta essere azienda integrata nella produzione e nella vendita diretta di birra agricola e la produzione di malto è stata classificata come attività connessa, ai sensi dell'art. 2135 C.C., ai fini delle imposte sui redditi.
Le caratteristiche, affinché la birra possa essere considerata agricola, sono essenzialmente tre:
1. produzione dell'agricoltore che coltiva l'orzo;
2. prevalenza, nella realizzazione del prodotto, della materia prima di propria produzione rispetto a quella acquistata da terzi;
3. prevalenza nella maltazione dell'orzo.

Si sottolinea nuovamente il principio della prevalenza, nel mondo agricolo prevista dall'art. 32 TUIR. In questo contesto, si confronteranno, in primo luogo, il valore dei due ingredienti fondamentali: malto d'orzo e luppolo. La criticità principale consiste nel fatto che l'orzo viene normalmente prodotto dalle aziende agricole; al contrario, il luppolo non viene coltivato ma quasi sempre acquistato da aziende terze.
Il secondo aspetto, invece, è legato alla maltazione dell'orzo: pochi produttori possono permettersi di costruire un impianto senza incorrere nel rischio di contaminazione del proprio orzo con quello di altri produttori (affidando a terzi il servizio). L'associazione in gruppi o consorzi risolve in parte l'annosa questione: l'orzo prodotto all'interno delle aziende viene conferito al consorzio e subisce il processo di maltazione, per poi essere restituito al proprietario. Anche in tale caso, tuttavia, a meno che un produttore non conferisca importanti quantità di orzo, ogni birrificio non utilizzerà esclusivamente il proprio malto, bensì il malto prodotto dall'intero consorzio.
Un'ulteriore soluzione potrebbe essere costituita dalla coltivazione del luppolo nelle aziende agricole: l'art. 36 L. 154/2016 introduce la promozione e il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione del luppolo e dei suoi derivati nel nostro Paese, tramite il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e per i processi di prima trasformazione, per la ricostituzione del suo patrimonio genetico e per l'individuazione di corretti processi di meccanizzazione. Inoltre, sempre in tale direzione, la L. 145/2018 (legge di Bilancio 2019) ha ridotto le accise che attanagliano il settore dal punto di vista fiscale.
Proprio la coltivazione del luppolo è stata oggetto di una azione di studio e coltivazione da parte del CERSAA di Albenga, il Centro sperimentale della ex Camera di commercio di Savona. Nel progetto dimostrativo “RECUPERO E VALORIZZAZIONE PRODUTTIVA DI LINEE VARIETALI DI LUPPOLO AUTOCTONI DELL’ENTROTERRA SAVONESE”
Gli obiettivi specifici del progetto realizzato da Giovanni Minuto e dai suoi collaboratori in collaborazione con la Coldiretti Savona (disponibile al link http://www.cersaa.it/wp-content/uploads/2015/07/Luppolo-1.pdf)  sono stati i seguenti:
1. Favorire l’incremento della produzione agricola e la creazione di posti di lavoro in campo agricolo e agro-alimentare attraverso la dimostrazione della possibilità di recupero e valorizzazione della biodiversità presente all’interno del genere Humulus, ed in particolare di Humulus lupulus, esistenti in ampie aree dell’entroterra savonese già valutate da parte della Facoltà di Farmacia dell’Università di Torino ed utilizzabili, in parte per sviluppare il processo di birrificazione.
2. Valorizzare un prodotto locale attraverso l’avvio di un processo di certificazione dedicata.  Si tratta, infatti, di un ulteriore esempio di attuazione della filiera a Km zero, realizzata con la produzione agricola locale di luppolo e, in prospettiva, di orzo e frumento, assieme all’uso dell’acqua dell’alta Valle Bormida.
Caratteristica peculiare dei micro birrifici artigianali è quella di usare il il luppolo tal quale (come FIORE ne sono necessari da 100 a 500 grammi ogni 1000 litri di birra), mentre nelle produzioni industriali viene prima trasformato in pellet. il concentrato di luppolo (solido o luido), risulta infatti più vantaggioso perché più facilmente conservabile e perché offre la possibilità di dosare in modo più omogeneo le sostanze attive in esso contenute.

Le caratteristiche di questa specie, utilizzata per la birra, sono le seguenti:
• chiarifica naturalmente la birra,
• frena la riproduzione dei batteri conservandola meglio,
• migliora la stabilità della spuma.
l’orzo invece rappresenta invece il principale ingrediente della birra ed attualmente è un settore agroalimentare in condizioni di crescita, anche perché nella produzione di orzo da birra il nostro paese è fortemente deficitario: oltre 100.000 t di malto che corrispondono a circa 140.000 t di orzo (quasi 2/3 del fabbisogno nazionale) sono importati annualmente
Attualmente la coltivazione di orzo da birra in Italia è limitata al Centro-Sud Italia, nelle aree limitrofe alle due grandi malterie, con varietà di costituzione straniera. L’impiego di tali varietà, essenzialmente primaverili, ma adatte alla semina autunnale nelle zone temperate del Sud, consente l’ottenimento di raccolti di qualità. Si tratta di un’esigenza industriale: per garantire l’esistenza stessa della filiera, le malterie richiedono elevati livelli qualitativi per l’orzo perché solo in questo modo si possono produrre in maniera conveniente malti capaci di competere sul mercato internazionale.
Indicativamente, come già per il grano coltivato in Liguria, il nostro territorio sembra aver le caratteristiche climatiche a far si che la coltura dell’orzo distico completi pienamente il suo ciclo vegetativo (semina metà novembre e raccolta da giugno fino a metà luglio) Il processo di produzione del malto d’orzo segue i tempi naturali della germinazione. Ogni lotto di produzione attraversa generalmente 5 fasi: la prima è quella di preparazione dell’orzo. In questa fase viene pulito e calibrato. Nella seconda avviene il macero: l’orzo viene immerso in acqua per avviare la germinazione, la fase dura un giorno. La terza fase è appunto quella della germinazione che avviene a temperatura controllata in un ambiente ventilato per permettere agli enzimi di sviluppare. Questa fase dura 5 giorni. Durante la quarta fase avviene l’essiccazione: si interrompe la germinazione riducendo l’umidità fino a raggiungere livelli ottimali per la conservazione. In questo momento si sviluppano odore e colore della birra. L’ultima fase è quella di maturazione: per 3 settimane il malto viene stoccato nei silos. Trascorso il tempo, è pronto per essere inviato agli stabilimenti
Proprio per le caratteristiche che deve aver l’orzo da birra la coltiVazione di tale cereale si concentra al centro-sud e proprio a Melfi e a Pomezia vi sono i principali maltifici nazionali.
Per ovviare a tale lontananza ad aprile 2017 è entrata in funzione a Villafranca d'Asti (At), la prima malteria del nord Italia: 13 agricoltori hanno iniziato a produrre 100 tonnellate di orzo su circa 50 ettari. Il progetto di filiera alla base di tale iniziativa si chiama 'Malteria monferrato' ed è ideato da Coldiretti Asti con il supporto del Consorzio agrario delle province del Nord Ovest.
In sintesi la coltivazione di orzo e luppolo sono possibili in determinate aree della Liguria e possono contribuire ad aumentare il valore di terreni ormai considerati marginali o fuori dal ciclo produttivo aziendale. Inoltre Il valore commerciale dell’orzo da birra è molto maggiore rispetto al valore dell’orzo destinato ad esempio al’alimentazione animale.
Al fine dei finanziamenti comunitari del PSR 2014-2020 si ricorda che gli investimenti necessari a realizzare micorbirrifici agricoli sono afferenti alla misura 4.2 relativa alla trasformazione dei prodotti agricoli. Tutto ciò in quanto, nonostante la birra sia realizzata partendo da prodotti agricoli, questa non è considerata un prodotto agricolo ai sensi delle norme comunitarie. Rientrano invece nell’ambito della misura 4.1 gli investimenti di carattere prettamente agricolo come la coltivazione dell’orzo o la messa a coltura del luppolo.
Infine si segnala una importante novità a testimonianza di una rinnovata attenzione per un settore che può rappresentare una importante strada per il settore agricolo regionale: tale novità è il taglio del 40% delle accise sulle produzioni dei micro birrifici, taglio che potrà contribuire a spingere l’aumento degli acquisti delle birre artigianali Made in Italy, come annunciato nei giorni scorsi da Coldiretti. Il provvedimento entrerà in vigore il giorno 1° Luglio 2019 e prevede una riduzione delle accise del 40% per chi produce fino a 10mila ettolitri/anno e si va a sommare all’ulteriore riduzione a 2,99 euro dell’accisa per ettolitro e per grado-Plato inserita con l’ultima Legge di Bilancio.
Un sostegno al consumo di una bevanda che riscuote un successo crescente in Italia dove si assiste ad una moltiplicazione di iniziative imprenditoriali con 862 birrifici artigianali, dei quali oltre il 90% beneficerà dell’agevolazione.
In conclusione, si ricorda che ai fini IVA, la birra non è uno dei prodotti compresi nella prima parte della tabella A allegata al D.P.R. 633/1972; pertanto, alla vendita della birra non può applicarsi il regime speciale IVA (art. 34, c. 1 D.P.R. 633/1972).