Garantire la tracciabilità significa conoscere la provenienza: quando compriamo il pesce, quanto è chiaro questo dato? Poi: per assicurare la freschezza serve indicare la data di pesca, e come mai nel pescato non esiste questo obbligo?
Infine, la sostenibilità ambientale passa attraverso l’attrezzo di cattura – perché se io compro una seppia pescata da una nassa di un piccolo produttore locale o da un’imbarcazione a strascico oceanica in qualche modo sto mangiando due prodotti differenti, e dunque dovrei saperlo – ma come posso venirne a conoscenza? La realtà attuale italiana risiede in queste tre parole: non lo sai.
Quello che mangiamo è, prima di un bene di consumo o di prima necessità, una merce: ciò implica che è soggetto – nella stragrande maggioranza dei casi – a trasporti, aste e compravendite; detta in una parola: commercio. Ora, la sicurezza alimentare è un concetto che si può scindere in due aspetti: la Food Security e la Food Safety: mentre la prima è un concetto economico-sociale che mira a garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso a una quantità di cibo sufficiente per vivere, la seconda si riferisce all’aspetto qualitativo del prodotto agroalimentare.
Ciò significa che l’Europa e la politica in quanto tale si prendono la responsabilità di seguire – se così si può dire – il percorso di ogni prodotto dalla sua raccolta o cattura fino alle tavole dei consumatori. Ma è davvero così?
Tra i settori che oggi necessitano di maggior trasparenza nella filiera c’è sicuramente quello della pesca. Col passare degli anni, infatti, si sta assistendo a uno sfruttamento in crescita di determinati stock ittici, seguito da un impoverimento dei loro habitat naturali. Per garantire la tutela degli ecosistemi acquatici, l’Unione Europea sta portando avanti ormai da anni una politica improntata sulla sostenibilità della pesca. Buona l’intenzione, ma nella pratica che cosa manca a questo sistema? In primis, un tracciamento chiaro della filiera, che ad oggi svanisce una volta che il pesce ha raggiunto i banchi della pescheria o i menu dei ristoranti.
Ci spieghiamo meglio: quando un pescatore professionista esce in mare e cattura un pesce, è obbligato per legge a eseguire una serie di passaggi che garantiscano la tracciabilità del suo operato. Per questo, compila il logbook con tutti i dati di cattura (nome specifico, coordinate, data, area, ecc); a ogni pescato del giorno viene poi affidato un documento di trasporto sul quale sono riportati tutti questi dati. Il DDT segue il prodotto ittico in tutto il suo percorso commerciale, salvo poi magicamente sparire nel momento in cui il pesce compare sui banchi della vendita al dettaglio e della GDO.
Perché? “Quando il pesce arriva a terra la sua tracciabilità non si ritrova sui cartellini delle pescherie né sui menu dei ristoranti: la data di pesca si perde, e ciò accade perché la legge non dà nessun obbligo in merito,” spiega Daniela Borriello, Responsabile di Coldiretti ImpresaPesca.
Al problema della data, si aggiunge poi quello della provenienza: “qui l’obbligo di legge c’è,” conferma Borriello. “Il problema è che, di nuovo, la trasparenza si perde a discapito di codici che i consumatori di rado conoscono.” Le aree di pesca del mondo sono state suddivise in zone FAO. A queste seguono delle sottozone. “Per esempio, la 26 è il mare del nord, la 29 è il Pacifico, la 37 il Mediterraneo. Se il Tirreno ricade nella sottozona 37.1, l’Adriatico è nella 37.2. Ma la domanda qui è: il consumatore medio, questo, lo sa?”
Attualmente, quello che vediamo nella maggior parte delle etichette è una serie di numeri che indicano sì un’area di provenienza ma – se non affiancate da un’apposita tabella illustrativa, insomma una legenda – poco vogliono dire.
Commentano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale: “Queste manchevolezze nella pratica non garantiscono che sia dato un reale valore a un prodotto in base alla sua freschezza, alla sostenibilità e alla provenienza da filiera corta. Il consumatore non è consapevole di ciò che acquista, e come se non bastasse, la remunerazione al produttore non è proporzionata al suo lavoro che, se svolto nell’ottica di una pesca sostenibile, andrebbe evidenziato.”
Prosegue Borriello: “Una perdita di dati e informazioni di tale portata favorisce i meccanismi capitalistici della grande distribuzione, affossando il lavoro dei piccoli produttori locali. Al contrario, dunque, quello che chiediamo in questa giornata è un’etichettatura 100% trasparente, affinché il lavoro di tracciabilità portata avanti dai pescatori fin dalla cattura delle specie possa arrivare direttamente sulle tavole degli italiani, senza perdersi nei meandri di un mare di torbida legislazione.”
Oggi 7 giugno 2024, il tema di questa ricorrenza è: “Food Safety: prepare for unexpected” (Sicurezza alimentare: preparati per l’imprevisto). Facciamo in modo che questo titolo si trasformi in qualcosa che non solo possiamo prevedere, ma che è nostro diritto pretendere.