C’è chi lo chiama un debito ambientale, chi semplicemente incuria: è lo scotto che paga chi abita in Liguria e subisce le conseguenze della cementificazione. Frane, smottamenti, alluvioni; una delle regioni che peggio si posizionano a livello italiano in merito a SAU (Superficie Agricola Utilizzabile) deve i propri problemi di dissesto idrogeologico anche all’incapacità, nel corso degli anni, di coniugare urbanizzazione e ambiente. Un problema che la Liguria condivide con il resto dello stivale: in Italia, infatti, la cementificazione fa sparire due terreni agricoli al giorno, mettendo in pericolo non solo la produzione alimentare, ma anche la stabilità del territorio, rendendo sempre più devastanti gli effetti dei cambiamenti climatici.
Risultato? Il terreno non è più quello di una volta. Le coltivazioni sono a rischio e ogni annata preoccupa più della precedente. Più di tutto, è il suolo fertile a destare apprensione. Quei circa 30cm di strato che ospitano un terzo della biodiversità del nostro pianeta sono i responsabili della stragrande maggioranza del cibo che mangiamo. Secondo una stima di Coldiretti sui dati Crea-Ispra, in Italia il consumo di suolo brucia cibo per un valore di un miliardo di euro l’anno. Affiancare dunque la questione alimentare alle conseguenze dei dissesti idrogeologici e della crisi climatica che si riversa su una terra sempre più calda e che non riesce a regolare le temperature, significa di fatto presentare un problema a tutto tondo, che investe l’intera comunità.
“Ma non è tutto,” spiegano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale. “Le conseguenze ambientali della cementificazione e dell’impoverimento del suolo passano attraverso le terre di chi quelle zone le coltiva: a questi problemi va dunque aggiunta la desertificazione, ossia quel fenomeno che porta gli agricoltori a scappare sempre più dall’entroterra, abbandonando zone storicamente vocate all’agricoltura.” Il consumo di suolo dovuto alla cementificazione sta dunque allontanando anche i contadini dai territori, che diventano così sempre più a rischio dissesto in assenza della quotidiana attività di manutenzione e cura a cui sono abituati gli agricoltori, veri custodi della terra.
Una regione che geograficamente risulta già particolarmente fragile – le montagne si trovano poco distanti dalla costa e dunque i torrenti e rii sono numerosi e concentrati in poco spazio – necessiterebbe di un controllo costante dal punto di vista geofisico e morfologico. E invece, il deturpamento dovuto alla cementificazione che dagli anni del fascismo non si è mai veramente fermata, unito a disboscamento e abbandono dei muretti a secco, non fa che esacerbare questo nostro “debito ambientale”: il risultato è che in Liguria non esistono comuni esenti dal rischio idrogeologico, e sono oltre 860mila i liguri che vivono in zone a rischio frana. “È arrivata l’ora di mettere in pratica strategie e politiche che invertano la rotta, come premere l’acceleratore sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che giace da anni in Parlamento e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia,” concludono Boeri e Rivarossa. “In giornate come questa non possiamo che non abbassare la testa: non tanto come segno di resa quanto come attenzione a guardare oltre ciò che si vede. Il suolo è la cartina tornasole del nostro operato. Anche se sottoterra, gli effetti si vedono.”