L’importanza delle parole giuste: il rapporto FAO/OMS ha ritenuto fuorviante il modo in cui ci si riferisce al cibo sintetico. Non si dovrebbe dunque parlare di “carne coltivata”, bensì di “cibi a base cellulare”.
Allo stop da parte di buona parte dei Paesi dell’Unione Europea si congratula Coldiretti, specialmente nei confronti delle delegazioni spagnola, rumena, maltese, lituana, lussemburghese, austriaca e francese. Tali delegazioni hanno infatti presentato al Consiglio Europeo “Agricoltura e Pesca”, il 23 gennaio 2024, un documento in cui i paesi sostenitori chiedono alla Commissione di avviare una consultazione pubblica sui cibi a base cellulare. Ciò che si critica parte dalla forma per arrivare alla sostanza: innanzitutto il nome; questi cibi non possono, in alcun caso, essere chiamati carne. Poi, vengono poste questioni etiche, economiche, sociali e ambientali, nonché nutrizionali e di sicurezza sanitaria. L’obiettivo è rimettere in discussione il quadro normativo attuale, che risulta inadeguato sotto numerosi punti di vista, tra cui il fatto che queste nuove pratiche includano la produzione di alimenti utilizzando la tecnologia delle cellule staminali.
“La presentazione del documento” – sottolineano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale – “fa seguito al flop registrato dai cibi a base cellulare negli Stati Uniti, dove non vi sarebbe ancora traccia di prodotti di laboratorio nei supermercati e la produzione su larga scala risulterebbe più problematica del previsto. E non è un caso che nello Stato dell’Arizona sia stata presentata una proposta di legge a livello statale a inizio gennaio per vietare la vendita e la produzione di prodotti animali a partire da coltura cellulare; né per consumo umano, né per quello animale.”
L’alleanza nata in Europa fa proprie le perplessità sollevate per prima dalla Coldiretti e conferma il ruolo di apripista dell’Italia che è leader mondiale nella qualità e sicurezza alimentare, nelle politiche di tutela della salute dei cittadini. L’Italia, e in particolare il lavoro di Coldiretti, ha permesso l’approvazione di una legge sotto la spinta della raccolta di oltre 2 milioni di firme. “La presa di posizione di un numero crescente di Paesi è una risposta” – precisano Boeri e Rivarossa – “all’esigenza di avere analisi di impatto univoche da parte della ricerca pubblica ed evitare di trasformare i cittadini in cavie umane, come per primi abbiamo chiesto”.
Proprio per questa esigenza, a cui segue una generica diffidenza, la sfida che la Coldiretti lancia alle istituzioni europee è che i prodotti in laboratorio nei processi di autorizzazione non vengano equiparati a cibo ma bensì a prodotti a carattere farmaceutico, sia a livello nominativo che commerciale, eriche e normativo.